126 GIORNI DI PAURA, DI SPERANZE E DELUSIONI...

31.03.2020

Cronaca romanzata di un attentato guerrigliero che ha mutato la storia del Sudamerica...


Perché ho voluto scrivere un romanzo sui dei fatti marginali alla nostra storia e lontani nel tempo RIFERITO ad un attacco "terroristico" in Sud America contro un'ambasciata giapponese?

Non perché abbia a cuore quell'ideologia politica o perché, casualmente, ebbi la fortuna di visitare il Perù, per un lavoro non giornalistico e m'inciampai in quel fatto.

Forse queste due giustificazioni sono state una causa, ma la vera motivazione è che mi è sembrato giusto portare alla luce questo episodio con una rilettura dei fatti "asettica", utilizzando protagonisti che permettano al lettore di vivere l'azione così come si è sviluppata e come il tempo ha reso giustizia.

L'azione non fu un atto terroristico, così come si è sedimentato nella nostra mente.

Oggi si usa il termine terrorista, con troppa facilità, senza distinzione.

Dopo la famosa data dell'11 settembre c'è stato insegnato che "terrorista" è tutto ciò che va contro la nostra vita e il nostro benessere.

Terrorista è quindi sinonimo di persona indottrinata, pericolosa e violenta!

Usare l'aggettivo terrorista riferito ai membri del gruppo MRTA, che ha eseguito l'occupazione e il sequestro, è qualcosa che ho sempre sentito stridere anche perché contiene considerazioni negative espresse dalla persona che lo dice, ma che sono poi smentite dai fatti che la Storia ci ha reso.

È come dire «...questo movimento è cattivo perché è terroristico!» senza aver capito, o voler capire, le cause e le motivazioni che hanno spinto e motivato quel gesto: la rabbia per una povertà perpetrata su una popolazione minoritaria o sottomessa.

Nella ricerca della neutralità e per meglio capire gli eventi, ho usato il termine "guerriglieri" a volte "sequestratori" o anche "rivoluzionari" per quelle persone che volevano cambiare, rivoluzionare il sistema.

Il mio obiettivo è stato quello di creare una storia "imparziale", dove il protagonista è un agente segreto giapponese, camuffato da reporter di un grande quotidiano nipponico, mandato in Perù per una doppia missione.

Ho cercato di costruire un racconto piacevole e d'azione, ma che fosse assolutamente rispettoso dei fatti accaduti, per lasciare, al lettore stesso, trarre le conclusioni.

Nel 1996, all'epoca dei fatti raccontati, l'MRTA era un gruppo guerrigliero che aveva regole molto diverse dai gruppi rivoluzionari di tutto il Sudamerica. Leggendo i metodi e gli scopi, che d'altra parte, non lasciano spazio a dubbi su cosa esso fosse, troviamo un gruppo armato che vuole sovvertire la società nella quale non si considera più parte attiva, perché emarginato nonostante che le proprie idee fossero progressiste e democratiche; si percepisce una sorta di lotta armata diversa, soprattutto non violenta se non è strettamente necessario.

Chiamare "guerrigliero" il movimento MRTA non sta per convincere il lettore che questo sia un movimento più onesto di altri o migliore del potere che lo contrasta, oppure che i suoi affigliati non siano dei cattivi o dei violenti: quest'appellativo deve permetterci di non confondere gli scopi e le persone.

In Perù esisteva, nello stesso periodo, un gruppo che si chiamava "Sendero Luminoso"; era un gruppo di persone irriducibili e violente che credevano nelle idee maoiste.

Fu il loro gruppo che uccise oltre la metà delle persone perite in Perù per causa del terrorismo che si stima che furono circa trentamila, il resto lo fece quasi tutto l'esercito controterrorista.

MRTA ebbe una bassissima influenza sulle uccisioni violente; le loro azioni erano rivolte a sabotaggi o sequestri per autofinanziarsi ed essere d'aiuto e protezione alle popolazioni indigene. Perseguivano una politica andina, ove le comunità erano del tutto autosufficienti e senza la proprietà privata.

Il questo blitz, l'obiettivo era, principalmente, quello di chiedere la grazia ai prigionieri che erano incarcerati in condizioni disumane.

Tuttavia, la repressione attuata dal Governo di Fujimori fu durissima e senza alcuna diversificazione.

Un'altra cosa importante, che spero il lettore apprenderà da questo libro, è la distinzione, che non è mai stata ben chiarita, tra Ambasciata e residenza dell'Ambasciatore, differenziazione molto importante!

Su tutti i media e gli articoli del tempo troverete scritto "Ambasciata giapponese", in realtà era una residenza privata, anche se era l'abitazione dell'Ambasciatore giapponese.

La differenza è notevole; se fosse stata occupata l'Ambasciata giapponese, questa sarebbe stata una zona extraterritoriale e l'Esercito di Fujimori, non avrebbe mai potuto programmare e fare il blitz senza il permesso del Giappone, il cui Governo aveva capito che poteva trattare e liberare gli ostaggi senza violenza e spargimento di sangue.

Capire la diversità è quindi molto importante, ma l'appiattimento dell'informazione ha permesso al presidente peruviano, Fujimori, quella mattanza, mettendo in difficoltà e imbarazzo il Giappone stesso.

Anche se subito osannato dai media per la positiva conclusione dell'evento, il presidente Fujimori, negli anni a seguire, fu messo sotto processo e condannato per le menzogne e falsità con cui gestì quella e altre emergenze.

Questo libro non vuole esaltare le gesta del Comandante Evaristo e dei suoi tredici giovani e meno giovani, compagni; vuole però, con l'aiuto di una storia romanzata, cercare il più possibile di dare la giusta sistemazione ai personaggi che hanno calcato quella scena.

Alcuni attori che entrano in questa mia storia, sono reali, con il loro nome e cognome e le loro gesta rispettano fedelmente i fatti che sono successi. Altri sono inventati o relativi a personaggi reali, ma con nomi di fantasia per dare pathos alla storia e permettere al lettore di acquisire informazioni, vivendo in prima persona il racconto.

Spetterà a chi legge, qualora voglia approfondire, di rivedersi i documenti dell'epoca su questo fatto, in cui tanti hanno giocato di strategia, ma alla fine ci furono quattordici guerriglieri morti trucidati, che non spararono neppure un colpo sui sequestrati in oltre 126 giorni di forzata convivenza e di forti stress emotivi; morì anche un ostaggio, che era in forte dissenso con la politica repressiva attuata dal presidente peruviano, per cui la sua morte fu lungamente dibattuta.

Sarà stato un caso?

Nel blitz ci furono anche due morti tra i centoquaranta militari partecipanti e molti dei sequestrati liberati furono feriti, quindi l'operazione non fu, come si diceva allora, senza complicazioni e una perfetta esecuzione.

I militari e i responsabili politici si macchiarono anche di un'onta che li condannerà: si scoprirà che alcuni guerriglieri si arresero, non erano più un pericolo, tuttavia furono uccisi, una vera e propria esecuzione extragiudiziale.


IL LIBRO IN VERSIONE CARTACEA SARA' DISPONIBILE NEL MESE DI APRILE 2020



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