AVVICINANDOMI ALLE STELLE

17.02.2020

Racconto di una donna speciale che l'aviazione, la guerra, lo spionaggio e l'astronautica hanno reso unica.

Unica e sola al mondo.


La storia di questo libro ricalca una figura di donna effettivamente esistita nella Russia della Seconda Guerra Mondiale.

A corto di aerei e piloti, durante l'invasione tedesca del territorio russo, Stalin concede ad un gruppo di donne di costituire tre squadroni di piloti donne.

Queste si comporteranno in maniera più che onorevole, dando molto filo da torcere ai Tedeschi, che anche se più forti tecnicamente, le donne russe vincevano perché stavano difendevano la loro terra, la loro cultura e la loro vita.

Saranno chiamate le "Streghe della Notte", perché con vecchi biplani, ma con tantissima audacia, arrivavano in piena notte sulle linee tedesche bombardandole e facendo grandi danni.

Come delle vere streghe, esse arrivavano dall'alto, con il motore al minimo e i tedeschi se ne accorgevano solo per le esplosioni delle loro bombe.

Ma la nostra protagonista, continua nel suo coraggio, diventando una spia a copiare i segreti dei missili tedeschi le micidiali V2, nel bunker di Von Braun.

Finita la guerra la sua vita si lega in modo indissolubile con lo sviluppo dell'astronautica sovietica, divendandone oltre una importante responsabile del progetto di sviluppo missilistico, anche la prima astronauta che esce dall'atmosfera.

Il romanzo si svolge come una ipotetica intervista a questa protagonista ormai anziana, che vive di lezioni al pianoforte nella Russia post comunista.


«Ora basta Irina, continueremo poi lunedì prossimo, oggi sei stata in gamba con la prima aria della Patetica di Tchaikovsky, hai dato un'immagine Caravaggesca alla musica... brava! Se riesci, esercitati con dei solfeggi a casa, in modo da impratichire oltre la voce anche l'orecchio; un buon pianista non deve solo saper bene muover le dita...»

Irina si volse e il suo ciuffo viola le cadde di lato coprendole parte del viso, una pallina metallica le usciva dalla narice e sull'orecchio sinistro aveva il lobo trafitto da una dozzina di piccoli orecchini che le contornavano il bordo.

«Va bene Anna, farò così, non certo sabato perché abbiamo la festa di Halloween in Gorky Park e durerà fino a notte fonda, ma domenica... domenica prometto!»

Prese la sua tracolla "Invicta" e mi salutò correndo verso la porta d'uscita.

Mi domandai da quale festa nasceva questo Halloween, ma desistetti, troppe cose erano cambiate in così pochi anni. Irina era una buona allieva e con talento, non era svogliata e il pianoforte le si confaceva, mani perfette, la testa un po' distratta, ma per i suoi sedici anni, nel cuore degli anni '90, in una Mosca che è stata sradicata dalle proprie origini, la si poteva considerare "una brava figliola".

Di ottima famiglia, ottima solo perché molto facoltosa, arricchitasi con la vendita di metalli di recupero, vociferavano di traffici loschi dietro quell'import-export, ma in quella società che si specchiava solo sui soldi guadagnati, nessuno aveva da ridire. Gli arsenali dell'Unione Sovietica, erano stati svuotati e le armi svendute su vari mercati medio-orientali e non, per placare una sete infinita di guerra che attanaglia il mondo... da sempre.

«Vai pure; ora aspetto gente; mi devo preparare», ma lo dissi più a me stessa che non a Irina, la quale era già nella rampa delle scale.

Mi avevano chiamato, il giorno prima.

Era un italiano, al telefono mi aveva chiesto informazioni su Marina Raskova. Era riuscito ad entrare in possesso di documenti secretati del KGB che dimostravano che l'Eroe Nazionale della Seconda Guerra Mondiale non era morta, come ufficialmente era stato detto.

Non so come fosse venuto in possesso di quelle informazioni, che erano comunque imprecise, dato che non capiva perché in certi documenti ricorresse anche il mio nome. Con molta fatica aveva trovato il mio indirizzo e, sperando che non fosse solo un caso di omonimia, mi aveva chiamato subito al telefono.

Al sentire quel nome, il passato ritornava a me, forse voleva vendicarsi, forse fare pace?

Sta di fatto che l'uomo al telefono aveva una voce giovanile e forte, e si esprimeva in un russo abbastanza buono, ma si stupì quando dissi che un po' d'italiano lo parlavo anch'io e che avremmo potuto continuare la discussione nella sua lingua.

«Benissimo!» Si ricompose.

«Sono un giornalista e sto cercando materiale per scrivere la storia delle donne russe nella Seconda Guerra Mondiale».

Si sarebbe presentato da me il mattino seguente alle 10:30 perché voleva farmi un'intervista; e io, chissà perché, acconsentii.

L'orologio meccanico, sul comò nella mia piccola stanzetta, aveva smesso di suonare i dieci rintocchi, quando Irina chiuse la porta andandosene; avevo solo mezzora per calmare l'ansia e decidere se raccontare la mia storia o portarla ancora dentro me, come ho fatto in questi ultimi sessant'anni.

Aprii l'armadio e ritrovai una mia divisa con le mostrine e le medaglie... già le medaglie, ci fu un periodo che, per fame, stavo per svenderle a un rigattiere, ma non ne ebbi il coraggio.

Quando sentii il suono inconfondibile del campanello e andai ad aprire, mi trovai di fronte un bel giovane, ben vestito, robusto con una barba corta e discretamente curata. Si presentò dicendomi che aveva chiamato al telefono e mi chiese se io ero Anna.

In perfetto italiano gli dissi che io ero Anna, ma ero anche Marina.

«Se si accomoda e non mi interrompe, le racconterò la storia della mia vita».

Vidi sulla sua faccia una smorfia interrogativa, di curiosità, certo, ma anche di perplessità: io, una vecchietta di ottantacinque anni, ero davvero stata un'aviatrice? O forse il mio cervello stanco cominciava a travisare la realtà?

Lo lasciai nel dubbio e iniziai il mio racconto.




Dopo che i tedeschi, con l'operazione Barbarossa, invasero l'Unione Sovietica, piazzando un colpo militare inaspettato, Stalin mise in campo tutte la sue forze.

Certamente l'ex Impero Russo, diventato sovietico, era un gigante addormentato e l'invasione non era stata prevista in quanto, con la Germania di Hitler, l'Unione Sovietica aveva firmato un patto di non aggressione.

Tra il 22 Giugno 1941 e il 9 maggio 1945, data considerata dai russi come la fine della Seconda Guerra Mondiale, quasi un milione di donne furono impiegate nelle forze armate sovietiche.

Non solo con compiti di ausiliarie, ma anche al fronte e in prima linea, sopportando l'orrore di una guerra combattuta, una guerra dura e senza pietà.

O si vinceva o si moriva!

In gioco c'era la Patria, la propria cultura e la libertà.

Anche nell'aviazione c'erano molte donne che volevano combattere ma la forzata convivenza con gli uomini creava diversi problemi.

Si pensò così di formare squadre di sole donne già dall'ottobre 1941. L'Alto Comando sovietico, su ordine preciso di Stalin, autorizzò Marina Raskova ad organizzare tre squadroni d'aerei da combattimento, tutti con piloti di sesso femminile, ma non solo anche ausiliarie, mavigatrici e motoriste.

Ma la storia di questa donna continua anche dopo la sua "morte".


Le Streghe della Notte

Ci chiamano Streghe, ma noi siamo belle.

Ci credono forti, ma siamo donne.

Abbiamo la vita dentro, ma portiamo la morte.

Combattiamo un nemico invasore, ma vogliamo la Pace.

Barbarossa dal moderno teutonico esercito ci ha invaso.

O si vinceva o si moriva!

In gioco c'era la Patria, la nostra cultura e la libertà.

Un vecchio aereo, la notte e due bombe erano in nostro bagaglio,

ma era bello vedere il nobile tedesco fuggire in mutande.

La notte e il freddo erano i nostri amici.

Il generale inverno che mise in fuga il grande imperatore francese,

ora ci aiutava a scacciare questo nuovo nemico.

Che si credeva imperatore o forse Dio.

Ma finirà la sua vita sotto terra come un topo.

Schiacciato dai mille nemici che ha sfidato.

E noi Streghe continuiamo a volare.

I nostri aerei rollano sulla pista.

Le nostre meccaniche smontano, riparano sostituiscono.

Tutte donne ma siamo Falchi.

Falchi della nostra nazione.

Attento esercito germanico: 

Stalingrado sarà la tua tomba e le Streghe continueranno a volare 

fino sopra alla tua Berlino distrutta.


Estratto dal LIBRO

La cena proseguì tranquillamente e alla fine ci offrirono del Cognac.

Io, in un primo tempo, rifiutai adducendo la scusa di essere assolutamente astemia, cosa non vera, ma il barone disse:

«Un Armagnac in mezzo a questa guerra non può rifiutarlo, magari domani non ci saremo più e avremo perso una delle cose più sublimi che la vita ci regala».

Dovetti accettare e quindi finsi di non riuscire a berlo. Dopo il primo sorso, detti un colpo di tosse, poi cercai di farmi aria con la mano... ma, in effetti, era un ottimo Cognac!

Posai il bicchiere e lasciai la mano sul tavolo; prontamente Von Braun la coprì con la sua con un gesto che pareva affettuoso.

L'alcol ingerito, ma soprattutto il contatto con la mano di Von Braun, mi fecero trasalire e mi provocarono un aumento della mia temperatura corporea. Qualche secondo in quella posizione.

Interminabili!

Non sapevo se reagire o se acconsentire. Cercavo d'immaginare quale fosse per me, spia nemica, la migliore soluzione: andare a letto con il nemico e legarlo a me, oppure ritirare la mano stizzita e inventare qualche lacrimevole storia di un fidanzato al fronte.

Non ebbi tempo per la decisione perché a quel punto sentii la mano di Von Braun premere forte sulla mia e stringerla in modo da non poterla ritirare ed udii una frase che mi gelò il sangue:

«Anna, perché boicotta il mio missile?»

Tutto mi sarei aspettata al di fuori di quella domanda.

«No, ma cosa dice, io sto facendo al meglio il mio lavoro».

«Sono convinto anch'io che sta facendo al meglio anzi, più che al meglio... il suo lavoro, ha fatto grandi cose. Ha risolto un problema che nessuno dei miei tecnici era riuscito a decifrare».

«Allora, perché mi dice che la sto boicottando?» Dissi ritirando finalmente la mano liberata dalla morsa di Von Braun.

«Era da troppo tempo che i report, che ci giungevano dall'Inghilterra, davano una precisione di tiro quasi assoluta» si fermò per versarsi dell'Armagnac senza chiedermi se ne volevo dell'altro, «allora domandai alle sue collaboratrici di darmi il dossier completo dei calcoli di traiettoria; controllando, notai quel piccolo errore di correzione nella parte terminale della traiettoria, sempre uguale. Calcolai l'errore e vidi che dava una posizione finale sbagliata di oltre venti chilometri. Non capivo però perché c'erano sempre i report dall'Inghilterra che invece davano la posizione corretta».

«Ma non è vero... quel valore di compensazione è dato da un fattore di attrito; che si aggiunge alla fine!» Dissi cercando ancora di sostenere la mia posizione. «Mi stupisco che lei abbia così gravemente sospettato del mio lavoro» conclusi mostrandomi molto amareggiata.

«Già, "un fattore di attrito", devo ammettere che lei è veramente astuta».

Con la mano si mise a posto il ciuffo di capelli che nella foga si erano spettinati.

«...un fattore di attrito come anche le lenzuola macchiate o devo chiamarlo fattore d'attrito AK 305?»

Mi bloccai, evidentemente sapeva tutto, ma perché non mi faceva arrestare?

Perché non mi aveva denunciato alla SS?

Già pensavo che di lì a poco mi sarebbero arrivate alle spalle due militari, e quella sarebbe stata la mia fine. Invece i secondi passavano e nulla accadeva.

Poi Von Braun riprese la parola:

«Vede, devo ringraziarla per quel suo "fattore di attrito" e per le informazioni di caduta date agli Inglesi. In questo modo il mio progetto era visto con grandissimo successo presso le gerarchie tedesche, e da parte Inglese non ero considerato come un nemico da abbattere. Sa, la guerra sta per terminare e noi dobbiamo pensare al dopo... mi sta seguendo? ... la Luna aspetta!»

L'ansia che si era accumulata si stava lentamente e prudentemente, sciogliendo.

Quindi voleva che lo aiutassi!

«Certo capisco, io però non ho nessun potere decisionale in questa situazione».

«No, no. Lei ne ha moltissimo; io le lascio libertà massima e lei mi deve garantire che potremmo consegnarci agli Americani».

"Americani, ma se sono dall'altra parte del mondo" pensai.

Allora forse non sapeva la mia nazionalità, magari mi pensava veramente Italiana e sotto il comando del SOE inglese, avevo quindi un margine di vantaggio ancora molto notevole.

«Benissimo, cerchiamo quindi di accordarci su cosa fare: mi metto in contatto con la mia centrale e cercherò di trovare una soluzione alla sua richiesta, stia certo però che imporranno delle condizioni» poi, cercando di alzarmi da quella sedia infernale chiesi «possiamo concludere così la nostra cena?»

Von Braun si alzò per spostarmi la sedia mentre stava entrando il cameriere, ma egli lo rimandò indietro.

«Prego frau Anna è stata una stupenda cena, con un'altrettanta favolosa donna. Posso solo immaginare il perché Hitler stia perdendo la guerra, se dall'altra parte ci sono donne come lei» l'ultima frase la disse sussurrandomela nell'orecchio.

Un altro colpo al mio cuore, già così duramente provato in quelle due ore.

Gli posi le mani sul collo e lo baciai sulla bocca con una veemenza che lo lasciai stordito.

«Questo è niente» risposi, «sapesse quante donne e uomini credono in ideali di libertà e giustizia!»

Uscii di corsa dal locale andando nella mia stanza: dovevo urgentemente macchiare un lenzuolo d'inchiostro.





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