FURISIA, LA PROFEZIA 

30.06.2016

Da quando l'uomo ha smesso di ascoltare le voci della natura, queste non hanno smesso di parlare né l'uomo è diventato sordo...



Il Segreto nella SINDONE

Avventurosa vita di un Cavaliere al Servizio del Duca Emanuele Filiberto, il quale guida il trasferimento della Sindone da Chambery a Torino nel sedicesimo secolo. 

Questo cavaliere, diventato Conte si racconta le incredibili avventure vissute al servizio del Duca, che comanda il Regno di Sardegna e sarà la culla della nazione italiana, ma la Sindone svelerà un segreto che si non si potrà raccontare: Furisia. 



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Estratto dal LIBRO

IL VIAGGIO ALLA CORTE DI TORINO.

Il Duca mi ha mandato a chiamare. Nella missiva chiedeva di mettermi nuovamente al suo servigio per un'importante missione da svolgere. Ero ormai al suo comando da oltre vent'anni e avevo condiviso con lui molte delle importanti fasi della sua strabiliante vita. Grazie al lavoro svolto sono stato ripagato con un ottimo feudo, nel quale amministro e sono ben voluto dai miei sottoposti, sempre ligio e fedele al mio sovrano.

Sono passati 18 anni da quell'importante svolta che ha cambiato le sorti del Piemonte, la mia Nazione!

La battaglia di San Quintino, combattuta al fianco del Duca, allora un giovane Principe Savoia alleato con l'Imperatore Carlo V, diventata famosa per la strabiliante vittoria ottenuta contro l'esercito francese.

Questa vittoria permise la pace e il conseguente trattato di Cateau-Cambrèsis. Finalmente per il Piemonte s'apriva una nuova era: una nazione che raggruppava i feudi e stava per diventare uno degli stati più strategici d'Europa, che seppur piccolo come estensione diventerà l'ago della bilancia nei conflitti europei. La spina nel fianco dei francesi, il punto di riferimento per la Spagna e il confine occidentale per l'Austria.

Tuttavia il nuovo stato, per sopravvivere, doveva rafforzandosi nelle istituzioni, questo era quello che stava facendo il duca Emanuele Filiberto.

Io, congedatomi dall'esercito, fui nominato Signore di Pertusio, mi dettero un piccolo castello feudale, il Duca decise forse che io sarei stato un buon governatore locale e non avrebbe più avuto sentore della rinascita, sempre latente in quei luoghi, del movimento dei Tuchini, i ribelli al potere che avevano dominato solo un secolo prima.

In fondo mi trovavo bene il paese era abbastanza piccolo ma ben redditizio. Poche abitazioni intorno ad un santuario dedicato a san Firmino, il protettore dei soldati. La tradizione vuole che sia proprio un ufficiale francese, di ritorno dopo la sconfitta di Pavia contro il grande Carlo V, a fondarlo. Egli cadde gravemente ammalato proprio in quel luogo e il Santo venne a soccorrerlo. Per ricordare quell'evento fu eretto un edificio sacro.

A chi arriva per la prima volta nel mio feudo, può giungere dalla strada di Busano o di San Ponso e s'immerge subito in prati verdi, orti e cascine. Sullo sfondo ammirerà una collina con varie tonalità di verdi e sopra più in alto, quasi a dominare sulla roccia, il Sacro Monte di Belmonte, gestito dalle sorelle benedettine.

Io stavo sperimentando la coltivazione su larga scala di un tubero portato con me dal Nuovo Mondo, una piantagione di trifolaia. Una radice che ha una pasta color viola, commestibile con un gusto piacevole. Robusta, si adatta su qualunque terreno ed ha un'ottima resa. Gli indios del Nuovo Mondo la chiamano Batatas ed è un cibo molto importante e nutriente per loro. Ho però molte avversità per la diffusione della coltivazione, influenzate da una paura nei confronti di ciò che cresce sottoterra, fino ad affermare che si tratti di cibo flatulento, addirittura che questa radice diffondesse la lebbra.

Ero certo però che tutto questo non era vero e la trifolaia diverrà un nutrimento presente in tutte le mense.

Ora invece temevo che il mio signore volesse da me qualcosa che mi staccasse nuovamente dai miei affetti e dalla mia terra, anche se avevo voglia d'avventura, dopo questi anni di quiete nella mia valle.

Sapendo il piacere che gli procurava il vino al Duca, avevo portato con me alcune pinte di vino Fresia, dolce e amabile vinello, che producevo direttamente dalle mie vigne. Era un vino rinomato e la sua fama percorreva le frontiere dello Stato, addirittura!

Torino ormai era in vista entro poche ore sarò al suo cospetto ...e allora saprò!


Estratto dal LIBRO

Aguilerre

Il racconto di Diego non era per nulla terminato; quella era solo l'introduzione.

Versandosi da bere e riempiendo anche il mio boccale mi descrisse esattamente quale fosse il nostro obiettivo: l'eliminazione di un basco, un certo Lopez de Aguilerre. Egli era nato nel regno di Castillia nel 1510 da una famiglia di hidalgo; era quindi un sangue nobile seppur la sua stirpe fosse caduta nella povertà. Dovendo cercare la sua fortuna lontano dalla sua terra e solo con i propri mezzi, si arruolò giovanissimo nei Conquistadores e partecipò alla campagna di liberazione del Perù. Divenne famoso per il suo coraggio, tuttavia l'animo sanguinario gli costò una condanna a morte. Si salvò grazie all'aiuto d'alcuni suoi compagni che lo fecero fuggire; continuò la sua vita come fuorilegge seminando il terrore in quelle istituzioni spagnole che lo avevano condannato.

A governare come Viceré del nuovo Perù fu incaricato Blasco Luis Vela. Egli voleva portare la pace imperiale e far nascere una nazione rispettando le popolazioni locali, tuttavia gli interessi dei Conquistadores continuarono mantenendo le Encomendias.

Diego mi raccontò ancora che Aguilerre si dedicò alla ricerca dell'Eldorado, partecipando ad una spedizione capitanata da Pedro de Ursua, tenente e Governatore del Nuovo Regno di Granada. Più che una spedizione agli ordini della Corona, questa era una banda di mentecatti mercenari che si combattevano vicendevolmente a tradimento, facendo strage degli Indigeni che incontravano lungo il fiume. Non era affatto un caso isolato; infatti, nonostante la presenza nelle nuove terre di Vescovi e Magistrati, la feccia della società spagnola predominava e l'anarchia diventò la bandiera sostenuta a spada tratta dal nuovo capo della spedizione: Lopez de Aguilerre.

Egli comandava ottanta congiurati. I vasti territori, ancora sconosciuti, erano il loro nascondiglio. Dopo un lungo peregrinare tra il rio delle Amazzoni e la foce dell'Orinoco, il gruppo raggiunse l'isola di La Margarita il 20 luglio 1561. La responsabilità di Aguilerre, sulle feroci stragi che seguirono, era certa. Egli uccise il Governatore don Juan, occupò il forte, disarmò i soldati e saccheggiò il tesoro reale al grido di "Libertà, viva Lopez de Aguilerre". Con le armi confiscate, armò un forte esercito ai suoi comandi.

«Sappiamo con certezza» continuò Diego «che ha scritto una lettera a Filippo II proponendogli un accordo. In questa missiva vi era la richiesta da parte sua di diventare il Governatore di un nuovo regno che andava dal Venezuela alla Colombia, in cambio egli l'avrebbe liberato dai vincoli, siglati dal padre, che legavano questi territori ai banchieri.

Per Filippo era la miglior soluzione a quel problema dato che il padre, ormai deciso per l'abdicazione, non poteva più ostacolarlo mentre i banchieri stavano facendo molte pressioni, minacciando addirittura il fallimento finanziario della Spagna. Così la presenza di Aguilerre, per Filippo, era la soluzione: il pugno che lui non riusciva a sferrare».

«...e quindi il nostro compito?» Chiesi non capendo bene cosa avremmo dovuto fare.

«La nostra missione? Semplicissima: eliminare quel ribelle che vuole rivoluzionare gli equilibri messi in piedi dall'Imperatore e che hanno ben governato fino a tutt'oggi.

Ora, con la complicità di Filippo, si rischia di tornare indietro in una piena anarchia lasciando le mani libere alla ferocia di un hidalgo, autonominatosi re del Nuovo Mondo, senza considerare l'insoddisfazione dei banchieri che forse era il pericolo maggiore fra tutti».

«Capisco» dissi «e quindi dobbiamo combatterlo sul campo?».

«Dobbiamo eliminarlo, con qualsiasi mezzo! Domani partiremo per Vigo, là c'è una nave che ci aspetta per salpare verso il Nuovo Mondo. In un porto che si chiama Maracaibo, ci sono già cinquanta cavalieri spagnoli ed altrettanti archibugieri di sicura fiducia all'Imperatore ad aspettarci. Egli ha scelto te, per le tue grandi capacità tattiche di battaglia».

«Domani? Ma io...» Capii dallo sguardo, che in quel momento non avrei avuto altra scelta.

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